La statua lignea dell'Immacolata di Nicotera Marina
di Maria Lombardo
Si racconta, infatti, che proprio la statua dell’Immacolata che i pescatori nicoteresi portano in processione annualmente, sia stata pescata nello specchio di mare antistante l’attuale abitato. All’epoca del ritrovamento della scultura non esisteva ancora il paese. Ciò anche se, come sembra, ancora prima la “marina” era stata abitata da una colonia di spagnoli dediti alla pesca delle spugne che in gran quantità si trovavano sui fondali della scogliera. La zona era immersa nel verde della campagna. Solo in prossimità dell’arenile sorgevano poche rustiche baracche di frasche nelle quali i pescatori custodivano le reti ed i vari attrezzi necessari all’esercizio della pesca. I marinari nicoteresi, all’epoca, abitavano il rione “Palmenteri” che, abbarbicato sulla collina di granito ed aprendosi come un gran balcone sul mare, consentiva loro di tenere costantemente sotto controllo l’ampio golfo delimitato dal promontorio di Capo Vaticano e dal pittoresco S. Elia di Palmi. Da questo rione collinare, che si apre ad uno stupendo scenario naturale, i pescatori potevano facilmente spaziare con lo sguardo fin nelle dirimpettaie isole Eolie. Non esistono documenti scritti sulla stupenda statua lignea raffigurante la Vergine Immacolata avvolta in un bellissimo manto azzurro e ritinteggiata coi colori del cielo e dell’oro. Ma possiamo rifarci sicuramente alla tradizione orale ancora viva nel Borgo di Marina. Una mattina di quasi due secoli addietro, dunque, mentre da “Palmenteri” scrutava il mare, che dopo alcuni giorni di tempesta cominciava a rabbonirsi, un pescatore si accorse che all’altezza dell’odierno rione “marinella” c’era qualcosa che galleggiava. Incuriosito guardò con attenzione: era una cassa di grandi dimensioni. ”Ci sarà un tesoro” – pensò l’avvistatore e, insieme ad un suo parente, si affrettò ad imboccare lo stretto sentiero che, tracciato tra enormi massi di granito, conduceva (così come ancora oggi conduce) alla tranquilla borgata marinara. L’episodio, in maniera scarna e con la semplicità che caratterizza i racconti popolari, ci è stato ricostruito dal sig. Giovanni Di Capua, oltre ad essere il più anziano pescatore di Nicotera è diretto discendente dell’avvistatore della preziosa cassa. Per questo sin dalla più tenera età, dalla viva voce del nonno, che a sua volta li aveva appresi dall’avo suo, ha conosciuto i particolari del ritrovamento della bella Madonna. D’altra parte del fortuito recupero della statua, ancora oggi sia “i Rinaldi” (soprannome col quale sono conosciuti i componenti della famiglia Di Capua) che “gli Sguizzeri” (nomignolo attribuito ai componenti della famiglia Saladino) vanno orgogliosi. Ma entriamo nel vivo del racconto al fine di accompagnare il gentile viaggiatore nel vivo della nostra storia. Furono i giovani Di Capua insieme ai coetanei e parenti Saladino, infatti, gli autori dell’importante ma assai casuale recupero della cassa contenente la bella scultura della Madonna. Racconta così Giovanni Di Capua: “Il mio avo avvistò la cassa mentre, sballottata dalle onde, galleggiava nelle acque antistanti l’attuale “marineja” (“marinella”). Pensò al leggendario tesoro dei pirati ed alla possibilità di arricchire. Ma non essendo egoista chiamò uno “degli Sguizzeri” (vicini di casa oltre che parenti) e insieme a lui, di corsa, scese in marina. Giunti sul litorale, però, i due giovani si accorsero che la cassa, spinta dalle forti correnti, si era spostata di parecchio tanto che, galleggiando, era arrivata fino in prossimità del “Fosso”. Fu proprio qui che il mio antenato e l’amico Saladino, – precisa l’anziano Di Capua – con la collaborazione di alcuni familiari che nel frattempo erano accorsi in loro aiuto, poterono recuperare la misteriosa cassa.” In sostanza, la processione in mare, ogni anno, ripercorre lo stesso tragitto che la statua lignea della Madonna, sotto la spinta delle correnti, ha compiuto quel lontano mattino spostandosi dal punto dove è stata avvistata fino a quello dove venne recuperata e portata sulla spiaggia. E’ un rito che i pescatori locali, portando sulle spalle L’Immacolata con devozione profonda, compiono ormai da moltissimi anni, sia per ricordare il ritrovamento della statua sia perché, così facendo, vogliono esternare la loro profonda devozione alla Madre Santissima. Per consuetudine secolare i pescatori portano in processione la Madonna solo in mare. Sulla terra ferma, invece, se ne occupano altre categorie sociali. Infatti l’Immacolata lascia la omonima parrocchiale sulle spalle di fedeli e di cittadini che svolgono una qualsiasi attività lavorativa sulla terra ferma. Soltanto quando la processione, dopo aver attraversato diverse strade interne, giunge in via marina si fanno avanti i pescatori e, tra scoppi di mortaretti, canti, preghiere e ripetuti “evviva Maria”, prendono in consegna la statua per portarla in acqua e per ripetere, così, quel rito di fede e di profonda devozione che ha spinto tutta la gente di mare di Nicotera ad eleggere a sua Protettrice l’Immacolata Concezione. Quando la bella statua, dopo un tragitto in acqua di diverse centinaia di metri, raggiunge l’altezza di contrada “Fosso” i pescatori lasciano il mare e, attraversando l’ampio arenile, tornano in via marina. Qui il parroco, dopo che la Madonna viene riaffidata ai “portatori di terra” e prima che la processione percorrendo le rimanenti vie del paese, rientri in chiesa, pronuncia il solenne panegirico di lodi alla Vergine Immacolata. Secondo il racconto del sig. Di Capua, il ritrovamento della statua dell’Immacolata a Nicotera non è il solo registrato in quei giorni. Pare, infatti, che nello stesso periodo altre “Madonne” siano state pescate a Bagnara, a Santa Maria di Ricadi (Capo Vaticano) a Villa San Giovanni, a Tropea e sulla spiaggia dell’odierna San Ferdinando. E’ probabile, dunque, che qualche bottega d’arte napoletana, servendosi di uno stesso veliero, abbia contemporaneamente indirizzato a chiese e conventi calabresi e siciliani diverse sculture. Giunta nello stretto di Messina, però, l’imbarcazione si sarebbe imbattuta in un fortunale così violento da mandarla alla deriva facendole perdere l’intero carico. Le correnti marine, poi, avrebbero provveduto al resto, facendo prendere direzioni diverse a quelle casse che, in seguito, sono state fortunatamente avvistate e salvate da pescatori di varie località. Per quanto attiene la statua dell’Immacolata di Nicotera pare che alcuni mesi dopo il suo ritrovamento siano giunti in Marina due signori i quali, dichiarandosi legittimi proprietari, pretendevano la restituzione della scultura. Stando al racconto popolare, però, non riuscirono a smuoverla dal piedistallo su cui i pescatori del luogo avevano provveduto a sistemarla all’interno della chiesetta che, – come si rileva dalle “Relationes ad limina” del 1755- “diruta la chiesa del monastero di San Francesco d’Assisi dove gli abitanti del luogo solevano ascoltare la messa”, su iniziativa del Vescovo Mons. Francesco Franco fu edificata “per dare il comodo della Messa ai cittadini” che cominciavano ad abitare il villaggio marinaro. Bisogna, però, aspettare il 1819 perché gli abitanti della “Marina” raggiungano le 200 unità. Naturale, dunque, che le risorse economiche di quella chiesa fossero assai scarse. Per questo quando, a seguito del “flagello” del 1783, il Marchese di Fuscaldo fu nominato Vicario generale in Calabria, le assegnò la rendita della soppressa parrocchia di Motta Filocastro e, contemporaneamente, nominò un economo che ebbe la cura spirituale di quella comunità fino a quando, il 27 settembre del 1834, il Vescovo Mons. Michelangelo Franchini non elevò la chiesa a parrocchia. Nel frattempo, però, come si rileva da una iscrizione marmorea, nel 1800 il sacerdote nicoterese Giovanni De Luca ricostruì la chiesa e, poi, nel 1832 la completò del nuovo altare. Fino al 1832 il tempio era dedicato all’Annunziata. Il cambio di denominazione della chiesa è stato determinato sia dal fatto che il ritrovamento della statua dell’Immacolata da tutti i nicoteresi è stato interpretato come un segno della volontà divina sia dalla unanime disponibilità dei pescatori al mantenimento del parroco. In un documento della Curia Vescovile, in cui viene ricordata la “bolla di fondazione” della parrocchia, si legge, infatti, che fin dai tempi della sua istituzione “i padroni di barca di Marina si sono obbligati a somministrare in perpetuo all’arciprete pro tempore una annua prestazione denominata “quarta” del pescato.” Come si è detto, tale convenzione è stata scrupolosamente osservata fino ad alcuni lustri addietro da tutti i proprietari di barche. Essi erano convinti che, così facendo, la loro pietà e il loro culto verso la Gran Madre di Dio sotto il titolo dell’Immacolata sarebbero stati una valida protezione ed una sicura difesa per loro e per le loro famiglie.
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