Il calabrese Giuseppe Pignone, ultimo sindaco borbonico di Napoli e quei gigli recisi

di Maria Lombardo
Non avrei mai pensato che in questo viaggio di riscoperta e di recupero della memoria storica della mia Regione, potessi ancora riportare in vita storie di cui si deve assolutamente parlare. Siamo nel 1860 è il crepuscolo di uno dei Regni più longevi d’Europa: il Regno delle Due Sicilie. Nella Napoli di fine Regno, vi era al governo cittadino della Capitale un sindaco calabrese il Marchese d’Oriolo Giuseppe Pignone d’Alessandria. Che per tutti quelli che conoscono questa storia e per chi la apprende solo ora, risulta essere l’ultimo sindaco di Napoli di origine Calabrese. Aristocratico di Calabria Citra, politico di efferata fama Giuseppe lascia la sua Oriolo nel 1857, chiamato nella Capitale dal" grande" Ferdinando II tenne l’ufficio di Sindaco per ben tre anni. Figlio di Carlo e Isabella Pignatelli una delle famiglie nobili calabresi più in vista e molto influenti alla corte del Borbone. Esempio di tale potenza e rigore nobiliare sono le vestigia dei tanti possedimenti che la nobile famiglia possedeva ad Oriolo. La presenza a corte dei Pignatelli fece poi il resto e Giuseppe dovette partire alla volta di Napoli per sedere in una postazione di rilievo. Il giovane politico calabrese visse in prima persona i vari avvenimenti che determinarono la decapitazione del Regno, dalla morte del Re Ferdinando all’ascesa del giovane Francesco ed infine all’avvento dei liberali. Un turbinio di avvenimenti, che videro il Sindaco calabrese sempre impegnato in prima linea. Potrebbe sembrare una storia di voltafaccia alla dinastia Borbonica visto che Giuseppe concordò con Garibaldi l’arrivo a Napoli, ma l’attenta lettura di Vincenzo Diego “I gigli recisi, Giuseppe Pignone del Carretto e la fine del regno borbonico” per i tipi Porfidio Editore ha sicuramente portato alla luce, un personaggio dedito alla dinastia e rammaricato per quei “gigli recisi”. A Napoli iniziavano a giungere i personaggi più in vista del Risorgimento:Crispi, Nicotera,Mario, Saffi, White, Cattaneo, Saliceti, Ferrari e Mazzini, Pignone però non mise in conto i comportamenti scellerati del Monarca che gli valse la perdita del trono. Sul piano storiografico vengono rinvenuti molte situazioni che il Duca di Oriolo visse in quelle giornate ma desta vivo interesse il rifiuto del Sindaco di decretare l’annessione delle Due Sicilie al Piemonte. Le notizie storiografiche indicano questo:” Giuseppe Pignone ed il Sauget raggiunsero Garibaldi a Salerno (…) Liborio Romano inviò un dispaccio all’invittissimo Generale Garibaldi dittatore delle Due Sicilie(1).Si trattò di un estremo sussulto di dignità di fronte alle pretese di Cavour e dei piemontesi. Più un gesto simbolico in verità, che un atto dalle conseguenze politiche significative e durature: un mese dopo sarà lo stesso Garibaldi a firmare il decreto di indizione del Plebiscito che formalizzerà l’annessione dei territori che furono del Regno delle Due Sicilie al nuovo Regno d’Italia. Ma raccontiamo i fatti caricandoli di note storiografiche notano i cronisti del tempo che nel momento della ricompensa e degli onori. Piagnone si mise in disparte sia perchè era attaccato alla dinastia borbonica sia perchè non era incollato alla poltrona (2). Non a caso lo stesso Garibaldi nella lettera del 10 settembre dichiara: “ Signore, il decreto con cui ho provveduto al suo successore nell’ufficio di Sindaco(…) è un omaggio che ho voluto fare alla sua politica delicatezza. So, che l’opera sua a giudizio dell’universale, è riuscita utilissima al Municipio(…)(3). Il Diego ancora descrive la partenza del Re vista dal Piagnone:” “Il momento era arrivato, il Palazzo Reale salutava per sempre Franceschiello e la sua Corte. Francesco II non lo immaginava, ma la sua città non la rivedrà più. Uscito dal palazzo in carrozza, con la moglie Maria Sofia e due gentiluomini di corte, si accorse che più avanti nella farmacia reale del dott. Ignone, ancora poche ore prima suddito devotissimo, alcuni operai stavano staccando dall’insegna i gigli borbonici”(4). Il 7 settembre il Dittatore entra a Napoli avendo però concordato l’entrata col Sindaco ( le fonti storiche non mi conducono a esprimere un giudizio scientifico sul perchè il Sindaco si accordò col Nizzardo, cosa certa e che il giorno dopo si dimise).L’8 settembre del 1860, il giorno dopo l’ingresso di Garibaldi a Napoli, il marchese d’Oriolo rassegnava, irrevocabilmente, le dimissioni dalla carica di sindaco. Il Dittatore avrebbe voluto che rimanesse al suo posto, ma Giuseppe Pignone fu irremovibile, dando così prova della sua coerenza, ma anche una lezione di dignità in un frangente della storia meridionale in cui a predominare erano abbondantemente il trasformismo, l’opportunismo, i voltafaccia. Ma torniamo a quei gigli recisi che le fonti mi hanno descritto più volte. E’ chiaro che quando un governo viene soppiantato si pensa ad eliminare ogni simbolo. Ciò non mancò di verificarsi anche alla caduta del Regno delle Due Sicilie; addirittura, come narrato da un cronista dell’epoca, la rimozione fu prudentemente anticipata: “La mattina del cinque settembre [1860] (…) il Re uscì dalla reggia in un legnetto scoperto insieme con la Regina e due gentiluomini. (…). Effettivamente le biografie del Piagnone studiate in calce, asseriscono più volte come l’ultimo sindaco visse questi gigli recisi. Inoltre la stessa situazione venne vissuta dal Re che nei giorni prima di lasciare Napoli per sempre vide tali scene:”il Re si fermò e vide che alcuni operai, saliti sulla scala, staccavano dalla tabella i gigli”. Sormontati dalla corona reale, i gigli venivano usati come rappresentazione sintetica dello stemma dinastico. Abbiamo detto della sorte toccata ai gigli della farmacia reale ma stesso destino ebbero uguali emblemi sistemati all’esterno e all’interno di palazzo San Giacomo, l’edificio che aveva ospitato i Ministeri del regno borbonico. Anche dove era ubicato l’antico Municipio i gigli vennero recisi per sempre vi erano i sei (tre per lato) serti di foglie di quercia e di alloro che vediamo ancora oggi ma, fino al 1860, ognuno incorniciava un giglio.
Fonti-(1) Diego Vincenzo. I Gigli recisi, Giuseppe Piagnone del Carretto e la fine del Regno Borbonico. Porfidio Editore, Vincenzo Napolillo, Contributi di storia, Nuova Santelli Editore 2013 pag 86. (2) Ivi opera citata pag 87-88 (3) Diego Vincenzo……ibidem pag 78.

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