Da stratega a grande imprenditore: Vito Nunziante e Lipari.







di Maria Lombardo


 Ferdinando IV  che era tornato a Napoli dopo l'ondata napoleonica vedeva nuovamente in pericolo il trono e aveva messo completamente  da parte molte delle idee che lo avevano caratterizzato in passato. Ora si affidava ai vescovi perché gli garantissero preghiere e consenso sociale. Ed in questo senso scrisse anche il 23 settembre del 1805 al vescovo di Lipari  che era mons. Antonio Riggio , nell’ottobre del 1805 informava il re di avere dato vita ad una serie di iniziative    processione, prediche in Cattedrale e nelle chiese e nei conventi della città per far “comprendere alla popolazione la spietata persecuzione cui soggiace l’attuale Sommo Pontefice” e “l’avvilimento cui è ridotta la Chiesa per opera di uno irreconciliabile inimico” e pregare “per ridurre i traviati al giusto sentiero e placare lo sdegno del Sommo Dio nell’attuale oppressione in cui languisce il Capo Visibile della Chiesa Cattolica, per la sicurezza dello Stato e conservazione della Maestà Vostra e dell’augusta Real famiglia (1)”. Tuttavia il Borbone non riuscì a sedare l’”irreconciliabile nemico” qualche mese dopo costringeva il re a fuggire nuovamente in Sicilia mentre a Napoli Napoleone insediava il proprio fratello Giuseppe. Il Re a Palermo vive sotto la protezione degli inglesi ma anche nel timore che i francesi tentino un colpo di mano per prendere la Sicilia. In siffatta situazione al Napoletano non resta che preparare un' atto strategico per prevenire questa serie di cose. E quale migliore base d’appoggio che quella delle Eolie per una operazione di questo tipo?  E così il re incarica il sergente Vito Nunziante che comandava la guarnigione di Milazzo di andare a Lipari per consegnare al vescovo una sua missiva. Chiedendo che  il vescovo si adoperasse per creare  compagnie di cento persone ciascuna di volontari e riferisse, nel contempo sulle idee politiche dei liparesi. Vescovo di Lipari era divenuto nel frattempo mons. Silvestro Todaro di Messina, un monaco conventuale, mite e prudente, che prima di rispondere si guarda intorno, chiede, ascolta e poi prende la penna e scrive. Dopo giorni di sconforto il Todaro risponde alle accorate parole del  Re. Il Vescovo però pur di non scontentare il Re, mostra qual'è la situazione sull'isola vulcanica. Racconta di  8-900 giovani liparesi, la gioventù più robusta è coraggiosa, impiegata nella Regia Marina che, essendo impedito il commercio marittimo, è rimasta l’unica risorsa dei locali. Per il resto nelle isole si soffre una grandissima povertà e la gente, lavorando tutto il giorno, riesce a racimolare appena di che vivere. Quindi vi è molta ritrosia ad assumere impegni che possano distogliere da questo compito anche perché vi è il sospetto di essere poi spediti nella Sicilia e nelle Calabrie. Quanto alle “velenose massime che tanto hanno perturbato e perturbano l’Europa”, il re stia tranquillo, esse non sono approdate nelle Eolie e il popolo è fedele ed attaccatissimo al re chiosa il neo Vescovo. Certamente il Todaro cercò così di calmare l'ansia del Re. Aggiungendo che se non altro  per evitare qualsiasi rischio, visto che i mosaici delle terme erano continuamente visitati da turisti curiosi e da esperti anche forestieri che potevano dar luogo a qualche contagio con le “velenose massine”. Inoltre il Borbone non parco di tale situazione invia il giovane Nunziante a recapitare il carteggio più volte.Non sappiamo se la missione di portare il messaggio del re al vescovo, fu anche l’occasione per conoscere le Eolie o Nunziante già le conosceva. Il fatto è che da quel momento esse entrano nella sua vita di prepotenza(2) . A Lipari conosce una “leggiadra e ricca donzella”, forse di origine napoletana, Camilla Barresi ed il 4 agosto 1809 la sposa. Probabilmente mette casa a Lipari perché quando nel 1813 il vescovo Todaro, su autorizzazione del vicario regio in Sicilia, gli concederà un terreno in enfiteusi a Vulcano nel contratto il Nunziante risulta “domiciliato in questo suddetto Comune di Lipari in questa medesima Marina di San Giovanni”(3). Stupisce che un rampante stratega al servizio del Re di Napoli si stabilisca in un posto così:con licenza di estrazione di minerali e dell’erezione di una cappella per la messa domenicale dei lavoratori. Vulcano risulta dalle note del suo diario un posto che  nei quattro anni che vanno dal 1809 al 1813 il nostro tenente generale aveva dedicato diverse visite, diverse escursioni(4)magari anche con degli esperti magari provenienti dall’Inghilterra  visti i rapporti che aveva con gli alleati inglesi ed in particolare con il Lord William Bentick  dove vi erano industrie che producevano acido solforico e soda artificiale e usavano lo zolfo come materia prima. Eppure conosciamo tutti le potenzialità dell'isola che non permette certe colture a discapito di altri. Ora l’operazione a favore di questo importante personaggio apre la strada anche ad altre concessioni ed infatti il vescovo assegna dei lotti di terreno in contrada Gelso perché si mettessero a coltura. Si piantarono così viti, fichi e legumi e qualcuno fece anche sorgere delle “carcere” per la produzione della calce viva.(5)Sempre nel 1813 e precisamente l’8 aprile, il vescovo, su autorizzazione reale da a Nunziante anche la possibilità di impiantare una fabbrica per l’estrazione e la purificazione dello zolfo e di altri minerali. Bisognava mettersi subito all'opera le autorizzazioni non tardarono sa che  vi era a frequentare Vulcano e vivervi perché altrimenti sarebbe stato difficile avere manovali. Così decise di organizzare un pranzo nell’isola invitandovi militari inglesi e gentiluomini eoliani e finalmente chiamò il chimico che aveva contattato e cominciò l’estrazione e la lavorazione dei minerali zolfo e allume, sale ammoniaco e acido borico  che occorreva depurare perché non si trovavano in natura “belli e schietti” ma mischiati fra loro o “con altre mondiglie(6)”.“E spesso ci andava, e con meraviglia di quelle genti, calava giù nel vano della montagna.Di dove avendo raccolto e zolfo e altre misture, tornato che fu in Siclia. Diè a saggiare a un chimico, per sapere se fosse cosa da ridurre commerciabile: e avuto di sì, incoltamente chiese al vescovo di Lipari in censo Vulcano: il quale ebbe con agevolezza, e a sottil costo, perché nulla rendeva”Nei primi tempi  sebbene l’impegno del chimico e le risorse che vi profondeva Nunziante  i risultati erano alquanto deludenti. Ma la perseveranza era propria di quest’uomo che si fece costruire nell’isola “una capannuccia con pali e frasche” e “molti mesi ci dimorò selvaticamente”(7). Questa comunità fu formata dalle famiglie dei Bongiorno, Carnevale, Amendola, Trovatino, Basile e Ferlazzo. Qualche anno dopo l’insediamento costruirono una chiesetta nei pressi di Punta ‘a Sciarazza della quale non esiste più traccia. Finalmente Vito ebbe i primi frutti. Insomma finalmente la spuntò. Cominciò a fabbricare alloggi per i lavoranti, a piantare alberi per fare legna da ardere necessaria come combustibile per le macchine. Fece creare una strada persino nella montagna, una strada perché i carri potessero andare a caricare fino in cima i materiali e costruì un villaggio per chi ci lavorava. e cioè una colonia di coatti che erano relegati a Lipari, ed una chiesa che volle intitolare a San Vito con l’alloggio per il prete. Quando Dumas visiterà Vulcano nel 1835 ed incontrerà i figli di Nunziante così descrive questo villaggio dei forzati che lavoravano alle miniere: “costeggiammo una montagna piena di gallerie; talune erano chiuse da una porta e anche da una finestra, altre sembravano più semplicemente delle tane di animali selvaggi”; “circa quattrocento uomini abitavano in questa montagna e secondo l’indole più o meno industriosa lasciavano abbruttire la loro dimora oppure cercavano di renderla un pochino più confortevole”(8).  Eppure dopo Vulcano l’intraprendente napoletano  si dedicò alle miniere di ferro in Calabria, di piombo e carbon fossile in vari siti, alle cave di marmo in Basilicata,e così via. Nelle Eolie acquistò poderi a Stromboli e a Salina nella contrada di Malfa dove diede prova anche di buone doti di imprenditore agricolo. Ma sotto questo aspetto l’opera sua più imponente fu la bonifica di una piana nei pressi di Rosarno dove realizzò un villaggio che chiamò San Ferdinando. A Lipari, ancora, trovò “un reniccio vulcanico” con cui fece una pasta e fabbricò delle stoviglie “che belle riuscirono come quelle di porcellana (10)”.

(1)Archivio Vescovile, In scritture Varie e Visite Date ( Miscellanea) vol9, f. 605. Si tratta di una minuta che non ha né data, né firma, in G. Iacolino, manoscritto cit., Quaderno VI, pag. 264.
 (2)In Titoli e documenti di provenienza di terre nell’isola di Vulcano vendute dagli eredi di Nunziante ecc. presso il comm. Francesco Vitale f. 29v, in G. Iacolino, manoscritto cit. , quaderno VI pag.265f .
(3)in “Vita e fatti di Vito Nunziante”, di Francesco Palermo, Firenze 1839, pag. 79.
(4). G. Iacolino, manoscritto cit., pag. 266°.
(5)F. Palermo, op. cit., pag. 80.
(6) Idem, pag. 81.
(7) A. Dumas, op. cit., pag.41.
(8)
(9)F. Palermo, op.cit., pag. 85.







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